Radiomessaggio Di Sua Santita Pio XII
Radiomessaggio Di Sua Santita Pio XII – Alla Vigilia Del Santo Natale – Giovedì, 24 dicembre 1942
Quelle
Wie römische Klöster Juden schützten
Papst Pius XII. hat zur Schoah keineswegs geschwiegen”
Die Stunde des Papstes
Il Santo Natale e la umanità dolorante
(1) Con sempre nuova freschezza di letizia e di pietà, diletti figli dell’universo intero, ogni anno al ricorrere del Santo Natale, risuona dal presepe di Betlemme all’orecchio dei cristiani, ripercuotendosi dolcemente nei loro cuori, il messaggio di Gesù, Luce in mezzo alle tenebre; un messaggio che illumina con lo splendore di celestiali verità un mondo oscurato da tragici errori, infonde una gioia esuberante e fiduciosa ad un’umanità, angosciata da profonda e amara tristezza, proclama la libertà ai figli d’Adamo, costretti nelle catene del peccato e della colpa, promette misericordia, amore, pace alle schiere infinite dei sofferenti e tribolati, che vedono scomparsa la loro felicità e spezzate le loro energie nella bufera di lotta e di odio dei nostri giorni burrascosi.
E i sacri bronzi, annunziatori di tale messaggio in tutti i continenti, non pur ricordano il dono divino, fatto all’umanità, negli inizi dell’età cristiana; ma annunziano e proclamano anche una consolante realtà presente, realtà come eternamente giovane, così sempre viva e vivificante; realtà della «luce vera, la quale illumina ogni uomo, che viene in questo mondo» e non conosce tramonto. L’Eterno Verbo, via, verità e vita, nascendo nello squallore di una grotta e nobilitando in tal modo e santificando la povertà, così dava inizio alla sua missione di dottrina, di salute e di redenzione del genere umano, e diceva e consacrava una parola, che è ancor oggi la parola di vita eterna, valevole a risolvere i quesiti più tormentosi, insoluti e insolubili da chi vi porti vedute e mezzi effimeri e puramente umani; quesiti i quali si affacciano sanguinanti, esigendo imperiosamente una risposta, al pensiero e al sentimento di una umanità amareggiata ed esacerbata.
Il motto «Misereor super turbam» è per Noi una consegna sacra, inviolabile, valida e impellente in tutti i tempi e in tutte le situazioni umane, com’era la divisa di Gesù; e la Chiesa rinnegherebbe se stessa, cessando di essere madre, se si rendesse sorda al grido angoscioso e filiale, che tutte le classi dell’umanità fanno arrivare al suo orecchio. Essa non intende di prender partito per l’una o l’altra delle forme particolari e concrete, con le quali singoli popoli e Stati tendono a risolvere i problemi giganteschi dell’assetto interno e della collaborazione internazionale, quando esse rispettano la legge divina; ma d’altra parte, «colonna e base della verità» (1 Tm 3,15) e custode, per volontà di Dio e per missione di Cristo, dell’ordine naturale e soprannaturale, la Chiesa non può rinunziare a proclamare davanti ai suoi figli e davanti all’universo intero le inconcusse fondamentali norme, preservandole da ogni travolgimento, caligine, inquinamento, falsa interpretazione ed errore; tanto più che dalla loro osservanza, e non semplicemente dallo sforzo di una volontà nobile e ardimentosa, dipende la fermezza finale di qualsiasi nuovo ordine nazionale e internazionale, invocato con cocente anelito da tutti i popoli. Popoli, di cui conosciamo le doti di valore e di sacrificio, ma anche le angustie e i dolori, e ai quali tutti, senza alcuna eccezione, in quest’ora d’indicibili prove e contrasti, Ci sentiamo legati da profondo e imparziale e imperturbabile amore e da immensa brama di portare loro ogni sollievo e soccorso che in qualsiasi modo sia in Nostro potere.
Rapporti internazionali e ordine interno delle nazioni
L’ultimo Nostro Messaggio natalizio esponeva i principi, suggeriti dal pensiero cristiano, per stabilire un ordine di convivenza e collaborazione internazionale, conforme alle norme divine. Oggi vogliamo soffermarCi, sicuri del consenso e dell’interessamento di tutti gli onesti, con cura particolare e uguale imparzialità sulle norme fondamentali dell’ordine interno degli Stati e dei popoli. Rapporti internazionali e ordine interno sono intimamente connessi, essendo l’equilibrio e l’armonia tra le Nazioni dipendenti dall’interno equilibrio e dalla interna maturità dei singoli Stati nel campo materiale, sociale e intellettuale. Né un solido e imperturbato fronte di pace verso l’esterno risulta possibile di fatto ad attuarsi senza un fronte di pace nell’interno, che ispiri fiducia. Solo, quindi, l’aspirazione verso una pace integrale nei due campi varrà a liberare i popoli dal crudele incubo della guerra, a diminuire o superare gradatamente le cause materiali e psicologiche di nuovi squilibri e sconvolgimenti.
Duplice elemento della pace nella vita sociale
Ogni convivenza sociale, degna di tal nome, come trae origine dalla volontà di pace, così tende alla pace; a quella tranquilla convivenza nell’ordine in cui S. Tommaso, facendo eco al noto detto di S. Agostino,(2) vede l’essenza della pace. Due primordiali elementi reggono quindi la vita sociale: convivenza nell’ordine, convivenza nella tranquillità.
I. Convivenza nell’ordine
L’ordine, base della vita consociata di uomini, di esseri cioè, intellettuali e morali, che tendono ad attuare uno scopo consentaneo alla loro natura, non è una mera estrinseca connessione di parti numericamente diverse; è piuttosto, e ha da essere, tendenza e attuazione sempre più perfetta di una unità interiore, ciò che non esclude le differenze, realmente fondate, e sanzionate dalla volontà del Creatore o da norme soprannaturali.
Una chiara intelligenza dei fondamenti genuini di ogni vita sociale ha un’importanza capitale oggi più che mai, mentre l’umanità, intossicata dalla virulenza di errori e traviamenti sociali, tormentata dalla febbre della discordia di desideri, dottrine e intenti, si dibatte angosciosamente nel disordine, da essa stessa creato, e risente gli effetti della forza distruttrice di idee sociali erronee, le quali dimenticano le norme di Dio o sono ad esse contrarie. E poiché il disordine non può essere superato se non con un ordine, che non sia meramente forzato e fittizio (non altrimenti che l’oscurità coi suoi deprimenti e paurosi effetti non può essere bandita se non dalla luce, e non da fuochi fatui); la salvezza, il rinnovamento e un progressivo miglioramento non può aspettarsi e originarsi se non da un ritorno di larghi e influenti ceti alla retta concezione sociale; un ritorno che richiede una straordinaria grazia di Dio e una volontà incrollabile, pronta e presta al sacrificio, degli animi buoni e lungimiranti. Da questi ceti più influenti e più aperti per penetrare e ponderare la bellezza attraente delle giuste norme sociali, passerà e entrerà poi nelle moltitudini la convinzione della origine vera, divina e spirituale, della vita sociale, spianando in tal modo la via al risveglio, all’incremento e al consolidamento di quelle concezioni morali, senza cui anche le più orgogliose attuazioni rappresenteranno una Babele, i cui abitanti, se pure hanno mura comuni, parlano lingue diverse e contrastanti.
Iddio prima causa ed ultimo fondamento della vita individuale e sociale
Dalla vita individuale e sociale conviene ascendere a Dio, Prima Causa e ultimo fondamento, come Creatore della prima società coniugale, fonte della società familiare, della società dei popoli e delle nazioni. Rispecchiando pur imperfettamente il suo Esemplare, Dio Uno e Trino, che col mistero dell’Incarnazione redense ed innalzò la natura umana, la vita consociata, nel suo ideale e nel suo fine, possiede al lume della ragione e della rivelazione un’autorità morale ed una assolutezza, travalicante ogni mutar di tempi; e una forza di attrazione, la quale, lungi dall’esser mortificata e scemata da delusioni, errori, insuccessi, muove irresistibilmente gli spiriti più nobili e più fedeli al Signore a riprendere, con rinnovata energia, con nuove conoscenze, con nuovi studi, mezzi e metodi, ciò che in altri tempi e in altre circostanze fu tentato invano.
Sviluppo e perfezionamento della persona umana
Origine e scopo essenziale della vita sociale vuol essere la conservazione, lo sviluppo e il perfezionamento della persona umana, aiutandola ad attuare rettamente le norme e i valori della religione e della cultura, segnati dal Creatore a ciascun uomo e a tutta l’umanità, sia nel suo insieme, sia nelle sue naturali ramificazioni.
Una dottrina o costruzione sociale, che rinneghi tale interna, essenziale connessione con Dio di tutto ciò che riguarda l’uomo, o ne prescinda, segue falso cammino; e mentre costruisce con una mano, prepara con l’altra i mezzi, che presto o tardi insidieranno e distruggeranno l’opera. E quando, misconoscendo il rispetto dovuto alla persona e alla vita a lei propria, non le conceda alcun posto nei suoi ordinamenti, nell’attività legislativa ed esecutiva, lungi dal servire la società, la danneggia; lungi dal promuovere e animare il pensiero sociale e attuarne le aspettative e le speranze, le toglie ogni valore intrinseco, servendosene come di frase utilitaria, la quale incontra in ceti sempre più numerosi risoluta e franca ripulsa.
Se la vita sociale importa unità interiore, non esclude però le differenze, cui suffragano la realtà e la natura. Ma quando si tiene fermo al supremo regolatore di tutto ciò che riguarda l’uomo, Dio, le somiglianze non meno che le differenze degli uomini trovano il posto conveniente nell’ordine assoluto dell’essere, dei valori, e quindi anche della moralità. Scosso invece tale fondamento, si apre tra i vari campi della cultura una pericolosa discontinuità, appare una incertezza e labilità di contorni, di limiti e di valori, talché solo meri fattori esterni, e spesso ciechi istinti, vengono poi a determinare, secondo la dominante tendenza del giorno, a chi spetti il predominio dell’uno o dell’altro indirizzo.
Alla dannosa economia dei passati decenni, durante i quali ogni vita civile venne subordinata allo stimolo del guadagno, succede ora una non meno dannosa concezione, la quale, mentre guarda tutto e tutti sotto l’aspetto politico, esclude ogni considerazione etica e religiosa. Travisamento e traviamento fatali, pregni di conseguenze imprevedibili per la vita sociale, la quale mai non è più vicina alla perdita delle sue più nobili prerogative di quando s’illude di poter rinnegare o dimenticare impunemente l’eterna fonte della sua dignità: Dio.
La ragione, illuminata dalla fede, assegna alle singole persone e particolari società nell’organizzazione sociale un posto fisso e nobile; e sa, per parlare solo del più importante, che tutta l’attività dello Stato, politica ed economica serve per l’attuazione duratura del bene comune; cioè, di quelle esterne condizioni, le quali sono necessarie all’insieme dei cittadini per lo sviluppo delle loro qualità e dei loro uffici, della loro vita materiale, intellettuale e religiosa, in quanto, da un lato, le forze e le energie della famiglia e di altri organismi, a cui spetta una naturale precedenza, non bastano, e, dall’altro, la volontà salvifica di Dio non abbia determinata nella Chiesa un’altra universale società a servizio della persona umana e dell’attuazione dei suoi fini religiosi.
In una concezione sociale, pervasa e sanzionata dal pensiero religioso, l’operosità dell’economia e di tutti gli altri campi della cultura rappresenta una universale nobilissima fucina di attività, ricchissima nella sua varietà, coerente nella sua armonia, dove l’uguaglianza intellettuale e la differenza funzionale degli uomini conseguono il loro diritto ed hanno adeguata espressione; in caso diverso si deprime il lavoro e si abbassa l’operaio.
Ordinamento giuridico della società e suoi scopi
Affinché la vita sociale, quale è voluta da Dio, ottenga il suo scopo, è essenziale un ordinamento giuridico, che le serva di esterno appoggio, di riparo e protezione; ordinamento la cui funzione non è dominare, ma servire, tendere a sviluppare e accrescere la vitalità della società nella ricca molteplicità dei suoi scopi, conducendo verso il loro perfezionamento tutte le singole energie in pacifico concorso e difendendole, con mezzi appropriati ed onesti, contro tutto ciò che è svantaggioso al loro pieno svolgimento. Un tale ordinamento, per garantire l’equilibrio, la sicurezza e l’armonia della società, ha anche il potere di coercizione contro coloro, che solo per questa via possono essere trattenuti nella nobile disciplina della vita sociale; ma proprio nel giusto compimento di questo diritto un’autorità, veramente degna di tal nome, non sarà mai che non senta l’angosciosa responsabilità di fronte all’Eterno Giudice, al cui tribunale ogni falsa sentenza, e soprattutto ogni sconvolgimento delle norme da Dio volute, riceverà la sua immancabile sanzione e condanna.
Le ultime, profonde, lapidarie, fondamentali norme della società non possono essere intaccate da intervento d’ingegno umano; si potranno negare, ignorare, disprezzare, trasgredire, ma non mai abrogare con efficacia giuridica. Certamente, col tempo che volge, mutano le condizioni di vita; ma non si dà mai manco assoluto, né perfetta discontinuità tra il diritto di ieri e quello di oggi, tra la scomparsa di antichi poteri e costituzioni e il sorgere di nuovi ordinamenti. Ad ogni modo, in qualsiasi cambiamento o trasformazione, lo scopo di ogni vita sociale resta identico, sacro, obbligatorio: lo sviluppo dei valori personali dell’uomo, quale immagine di Dio; e resta l’obbligo di ogni membro dell’umana famiglia di attuare i suoi immutabili fini, qualunque sia il legislatore e l’autorità, a cui ubbidisce. Rimane quindi sempre e non cessa per opposizione alcuna anche il suo inalienabile diritto, da riconoscersi da amici e nemici, ad un ordinamento e una prassi giuridica, che sentano e comprendano esser loro essenziale dovere di servire al bene comune.
L’ordinamento giuridico ha inoltre l’alto e arduo scopo di assicurare gli armonici rapporti sia tra gli individui, sia tra le società, sia anche nell’interno di queste. A ciò si arriverà, se i legislatori si asterranno dal seguire quelle pericolose teorie e prassi, infauste alla comunità e alla sua coesione, le quali traggono la loro origine e diffusione da una serie di postulati erronei. Tra questi è da annoverare il positivismo giuridico, che attribuisce una ingannevole maestà alla emanazione di leggi puramente umane, e spiana la via ad un esiziale distacco della legge dalla moralità; inoltre la concezione, la quale rivendica a particolari nazioni o stirpi o classi l’istinto giuridico, quale ultimo imperativo e inappellabile norma; infine quelle varie teorie, le quali, diverse in sé e procedenti da vedute ideologiche contrastanti, si accordano però nel considerare lo Stato o un ceto, che lo rappresenti, come entità assoluta e suprema, esente da controllo e da critica, anche quando i suoi postulati teorici e pratici sboccano e urtano nell’aperta negazione di dati essenziali della coscienza umana e cristiana.
Chi consideri con occhio limpido e penetrante la vitale connessione tra genuino ordine sociale e genuino ordinamento giuridico, e tenga presente che l’unità interna nella sua multiformità dipende dal predominio di forze spirituali, dal rispetto della dignità umana in sé e negli altri, dall’amore alla società e agli scopi da Dio ad essa segnati, non può meravigliarsi sui tristi effetti di concezioni giuridiche, le quali, allontanatesi dalla via regale della verità, procedono sul terreno labile di postulati materialistici; ma scorgerà subito la improrogabile necessità di un ritorno ad una concezione spirituale ed etica, seria e profonda, riscaldata dal calore di vera umanità e illuminata dallo splendore della fede cristiana, la quale fa mirare nell’ordinamento giuridico una rifrazione esterna dell’ordine sociale, voluto da Dio, luminoso frutto dello spirito umano, anch’esso immagine dello spirito di Dio.
Su questa concezione organica, la sola vitale, in che la più nobile umanità e il più genuino spirito cristiano fioriscono in armonia, sta scolpita la sentenza della Scrittura, illustrata dal grande Aquinate: «Opus iustitiae pax»,(3) che si applica così al lato interno, come al lato esterno della vita sociale.
Essa non ammette né contrasto, né alternativa: amore o diritto, ma la sintesi feconda: amore e diritto.
Nell’uno e nell’altro, entrambi irradiazioni dello stesso spirito di Dio, sta il programma e il suggello della dignità dello spirito umano; l’uno e l’altro a vicenda s’integrano, cooperano, si animano, si sostengono, si danno la mano nel cammino della concordia e della pacificazione, mentre il diritto spiana la via all’amore, l’amore mitiga il diritto e lo sublima. Entrambi elevano la vita umana in quella atmosfera sociale, dove, pur tra le manchevolezze, gli impedimenti e le durezze di questa terra, si rende possibile una fraterna convivenza. Ma fate che il cattivo spirito di idee materialistiche domini; che la tendenza al potere e al prepotere concentri nelle sue rudi mani le redini degli eventi; voi allora vedrete apparirne ogni giorno più gli effetti disgregatori, scomparire amore e giustizia; tristo preannunzio di minaccianti catastrofi su una società, apòstata da Dio.
II. Convivenza nella tranquillità
Il secondo elemento fondamentale della pace, verso cui tende quasi istintivamente ogni società umana, è la tranquillità. O beata tranquillità, tu non hai nulla di comune con il fissarsi duro e ostinato, tenace e infantilmente caparbio in ciò che è; né con la riluttanza, figlia di ignavia e d’egoismo, a porre la mente nei problemi e nelle questioni, che il volgere dei tempi e il corso delle generazioni coi loro bisogni e col progresso fanno maturare, e traggon seco come improrogabili necessità del presente. Ma per un cristiano, cosciente della sua responsabilità anche verso il più piccolo dei suoi fratelli, non vi è tranquillità infingarda, né si dà fuga, ma lotta, ma azione contro ogni inazione e diserzione nel grande agone spirituale, dove è proposta in palio la costruzione, anzi l’anima stessa della società futura.
Armonia fra tranquillità e operosità
Tranquillità nel senso dell’Aquinate e ardente operosità non contrastano, ma si accoppiano piuttosto in armonia per colui che è compreso della bellezza e della necessità del sostrato spirituale della società, e della nobiltà del suo ideale. E proprio a voi giovani, inclini a volgere le spalle al passato e rivolgere al futuro l’occhio delle aspirazioni e speranze, diciamo, mossi da vivo amore e da paterna sollecitudine: esuberanza e audacia da sé non bastano, se non siano, come bisogna, poste al servizio del bene e di una bandiera immacolata. Vano è l’agitarsi, l’affaticarsi, l’affannarsi senza riposarsi in Dio e nella sua legge eterna. Conviene che siate animati dal convincimento di combattere per la verità, e di farle dedizione delle proprie simpatie ed energie, degli aneliti e dei sacrifici; di combattere per le eterne leggi di Dio, per la dignità della persona umana, e per il conseguimento dei suoi fini. Dove uomini maturi e giovani, sempre ancorati nel mare della eternamente viva tranquillità di Dio, coordinano le diversità di temperamento e di attività in genuino spirito cristiano, là, se l’elemento propulsore si accoppia con l’elemento infrenatore, la differenza naturale tra le generazioni non diverrà mai pericolosa, ma condurrà anzi vigorosamente all’attuazione delle leggi eterne di Dio nel mutevole corso dei tempi e delle condizioni di vita.
Il mondo operaio
In un campo particolare della vita sociale, dove durante un secolo sorsero movimenti e aspri conflitti, si trova oggi calma, almeno apparente; nel mondo, cioè, vasto e sempre crescente del lavoro, nell’esercito immenso degli operai, dei salariati e dei dipendenti. Se si considera il presente, con le sue necessità belliche, come un dato di fatto, questa tranquillità potrà dirsi esigenza necessaria e fondata; ma se si guarda lo stato odierno dal punto di vista della giustizia, di un legittimo e regolato movimento operaio, la tranquillità non resterà che apparente finché tale scopo non sia raggiunto.
Mossa sempre da motivi religiosi, la Chiesa condannò i vari sistemi del socialismo marxista, e li condanna anche oggi, com’è suo dovere e diritto permanente di preservare gli uomini da correnti e influssi, che ne mettono a repentaglio la salvezza eterna. Ma la Chiesa non può ignorare o non vedere, che l’operaio, nello sforzo di migliorare la sua condizione, si urta contro qualche congegno, che, lungi dall’essere conforme alla natura, contrasta con l’ordine di Dio e con lo scopo, che Egli ha assegnato per i beni terreni. Per quanto fossero e siano false, condannabili e pericolose le vie, che si seguirono; chi, e soprattutto qual sacerdote o cristiano, potrebbe restar sordo al grido, che si solleva dal profondo, e il quale in un mondo di un Dio giusto invoca giustizia e spirito di fratellanza? Ciò sarebbe un silenzio colpevole e ingiustificabile davanti a Dio, e contrario al senso illuminato dell’apostolo, il quale, come inculca che bisogna essere risoluti contro l’errore, sa pure che si vuol essere pieni di riguardo verso gli erranti e con l’animo aperto per intenderne aspirazioni, speranze e motivi.
Dio, benedicendo i nostri progenitori, disse loro: «Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e soggiogatela» (Gn 1,28). E al primo capo di famiglia diceva poi: «Nel sudore della tua fronte ti ciberai di pane» (Gn 3,19). La dignità della persona umana esige dunque normalmente come fondamento naturale per vivere il diritto all’uso dei beni della terra; a cui risponde l’obbligo fondamentale di accordare una proprietà privata, possibilmente a tutti. Le norme giuridiche positive; regolanti la proprietà privata, possono mutare e accordare un uso più o meno circoscritto; ma se vogliono contribuire alla pacificazione della comunità, dovranno impedire che l’operaio, che è o sarà padre di famiglia, venga condannato ad una dipendenza e servitù economica, inconciliabile con i suoi diritti di persona.
Che questa servitù derivi dal prepotere del capitale privato o dal potere dello Stato, l’effetto non muta; anzi, sotto la pressione di uno Stato, che tutto domina e regola l’intera vita pubblica e privata, penetrando fino nel campo delle concezioni e persuasioni e della coscienza, questa mancanza di libertà può avere conseguenze ancora più gravose, come l’esperienza manifesta e testimonia.
Cinque punti fondamentali per l’ordine e la pacificazione della società umana
Chi pondera al lume della ragione e della fede i fondamenti e gli scopi della vita sociale, che noi abbiamo tracciati in brevi linee, e li contempla nella loro purezza ed altezza morale e nei loro benefici frutti in tutti i campi, non può non avere la convinzione dei potenti principi di ordine e di pacificazione, che energie rivolte a grandi ideali e risolute ad affrontare gli ostacoli potrebbero regalare, o diciamo meglio, restituire ad un mondo, interiormente scardinato, quando avessero abbattute le barriere intellettive e giuridiche, create da pregiudizi, errori, indifferenza, e da un lungo processo di secolarizzazione del pensiero, del sentimento, dell’azione, che venne a staccare e sottrarre la città terrena dalla luce e dalla forza della città di Dio.
Oggi più che mai scocca l’ora di riparare; di scuotere la coscienza del mondo dal grave torpore, in cui i tossici di false idee, largamente diffuse, l’hanno fatto cadere; tanto più che, in questa ora di sfacelo materiale e morale, la conoscenza della fragilità e della inconsistenza di ogni ordinamento puramente umano è sul disingannare anche coloro, che, in giorni apparentemente felici, non sentivano in sé e nella società la mancanza di contatto coll’eterno, e non la consideravano come un difetto essenziale delle loro costruzioni.
Ciò che chiaro appariva al cristiano, che, profondamente credente, soffriva dell’ignoranza altrui, chiarissimo ci presenta il fragore della spaventosa catastrofe dell’odierno sconvolgimento, che riveste la terribile solennità di un giudizio universale, persino agli orecchi dei tiepidi, degl’indifferenti, degl’inconsiderati: una verità, cioè, antica, che si manifesta tragicamente in forme sempre nuove, e tuona di secolo in secolo, di gente in gente, per bocca del Profeta: «Omnes qui Te derelinquunt, confundentur: recedentes a Te in terra scribentur: quoniam dereliquerunt venam aquarum viventium, Dominum» (Ier 17,13).
Non lamento, ma azione è il precetto dell’ora; non lamento su ciò che è o che fu, ma ricostruzione di ciò che sorgerà e deve sorgere a bene della società. Pervasi da un entusiasmo di crociati, ai migliori e più eletti membri della cristianità spetta riunirsi nello spirito di verità, di giustizia e di amore al grido: Dio lo vuole! pronti a servire, a sacrificarsi, come gli antichi Crociati. Se allora trattavasi della liberazione della terra santificata dalla vita del Verbo di Dio incarnato, si tratta oggi, se possiamo così esprimerci, del nuovo tragitto, superando il mare degli errori del giorno e del tempo, per liberare la terra santa spirituale, destinata a essere il sostrato e il fondamento di norme e leggi immutabili per costruzioni sociali di interna solida consistenza.
Per sì alto fine, dal presepe del Principe della pace, fiduciosi che la sua grazia si diffonda in tutti i cuori, Noi Ci rivolgiamo a voi, diletti figli, che riconoscete e adorate in Cristo il vostro Salvatore, a tutti quelli che sono con noi uniti almeno col vincolo spirituale della fede in Dio, a tutti infine, quanti anelano a liberarsi dai dubbi e dagli errori, bramosi di luce e guida; e vi esortiamo con scongiurante paterna insistenza non solo a comprendere intimamente l’angosciosa serietà di quest’ora, ma anche a meditare le sue possibili aurore benefiche e soprannaturali, e a unirvi e operare insieme per il rinnovamento della società in spirito e verità.
Scopo essenziale di questa Crociata necessaria e santa è che la stella della pace, la stella di Betlemme, spunti di nuovo su tutta l’umanità nel suo rutilante fulgore, nel suo pacificante conforto, qual promessa e augurio di un avvenire migliore più fecondo e più felice.
Vero è che il cammino dalla notte a un luminoso mattino sarà lungo; ma decisivi sono i primi passi sul sentiero, che porta sopra le prime cinque pietre miliari scolpite con bronzeo scalpello le seguenti massime:
1° Dignità e diritti della persona umana
1) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società, concorra da parte sua a ridonare alla persona umana la dignità concessale da Dio fin dal principio; si opponga all’eccessivo aggruppamento degli uomini, quasi come masse senz’anima; alla loro inconsistenza economica, sociale, politica, intellettuale e morale; alla loro mancanza di solidi principi e di forti convinzioni; alla loro sovrabbondanza di eccitazione istintive e sensibili, e alla loro volubilità;
favorisca, con tutti i mezzi leciti, in tutti i campi della vita, forme sociali, in cui sia resa possibile e garantita una piena responsabilità personale, così quanto all’ordine terreno come quanto all’eterno;
sostenga il rispetto e la pratica attuazione dei seguenti fondamentali diritti della persona: il diritto a mantenere e sviluppare la vita corporale, intellettuale e morale, e particolarmente il diritto ad una formazione ed educazione religiosa; il diritto al culto di Dio privato e pubblico, compresa l’azione caritativa religiosa; il diritto, in massima, al matrimonio e al conseguimento del suo scopo, il diritto alla società coniugale e domestica; il diritto di lavorare come mezzo indispensabile al mantenimento della vita familiare; il diritto alla libera scelta dello stato, quindi anche dello stato sacerdotale e religioso; il diritto ad un uso dei beni materiali, cosciente dei suoi doveri e delle limitazioni sociali.
2° Difesa della unità sociale e particolarmente della famiglia
2) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società, rifiuti ogni forma di materialismo, che non vede nel popolo se non un gregge di individui, i quali, scissi e senza interna consistenza, vengono considerati come materia di dominio e di arbitrio;
cerchi di comprendere la società come un’unità interna, cresciuta e maturata sotto il governo della Provvidenza, unità la quale, nello spazio ad essa assegnato e secondo le sue peculiari doti, tende, mediante la collaborazione dei diversi ceti e professioni, agli eterni e sempre nuovi fini della cultura e della religione;
difenda la indissolubilità del matrimonio; dia alla famiglia, insostituibile cellula del popolo, spazio, luce, respiro, affinché possa attendere alla missione di perpetuare nuova vita e di educare i figli in uno spirito, corrispondente alle proprie vere convinzioni religiose; conservi, fortifichi o ricostituisca, secondo le sue forze la propria unità economica, spirituale, morale e giuridica: curi che i vantaggi materiali e spirituali della famiglia vengano partecipati anche dai domestici; pensi a procurare ad ogni famiglia un focolare, dove una vita familiare, sana materialmente e moralmente, riesca a dimostrarsi nel suo vigore e valore; curi che i luoghi di lavoro e le abitazioni non siano così separati, da rendere il capo di famiglia e l’educatore dei figli quasi estraneo alla propria casa; curi soprattutto, che tra scuole pubbliche e famiglia rinasca quel vincolo di fiducia e di mutuo aiuto, che in altri tempi maturò frutti così benefici, e che oggi è stato sostituito da sfiducia colà ove la scuola, sotto l’influsso o il dominio dello spirito materialistico, avvelena e distrugge ciò che i genitori avevano istillato nelle anime dei figli.
3° Dignità e prerogative del lavoro
3) Chi vuole che la stella della pace spunti e resti sulla società, dia al lavoro il posto da Dio assegnatogli fin dal principio. Come mezzo indispensabile al dominio del mondo, voluto da Dio per la sua gloria, ogni lavoro possiede una dignità inalienabile, e in pari tempo un intimo legame col perfezionamento della persona; nobile dignità e prerogativa del lavoro, cui in verun modo non avviliscono la fatica e il peso, che sono da sopportarsi come effetto del peccato originale, in ubbidienza e sommissione alla volontà di Dio.
Chi conosce le grande Encicliche dei Nostri Predecessori e i Nostri precedenti Messaggi non ignora che la Chiesa non esita a dedurre le conseguenze pratiche, derivanti dalla nobiltà morale del lavoro, e ad appoggiarle con tutto il nome della sua autorità. Queste esigenze comprendono, oltre ad un salario giusto, sufficiente alle necessità dell’operaio e della famiglia, la conservazione ed il perfezionamento di un ordine sociale, che renda possibile una sicura, se pur modesta proprietà privata a tutti i ceti del popolo, favorisca una formazione superiore per i figli delle classi operaie particolarmente dotati di intelligenza e di buon volere, promuova la cura e l’attività pratica dello spirito sociale nel vicinato, nel paese, nella provincia, nel popolo e nella nazione, che, mitigando i contrasti di interessi e di classe, toglie agli operai il sentimento della segregazione con l’esperienza confortante di una solidarietà genuinamente umana e cristianamente fraterna.
Il progresso e il grado delle riforme sociali improrogabili dipende dalla potenza economica delle singole nazioni. Solo con uno scambio di forze, intelligente e generoso, tra forti e deboli sarà possibile a compiersi una pacificazione universale in maniera che non restino focolai di incendio e di infezione, da cui potrebbero originarsi nuove sciagure.
Segni evidenti inducono a pensare, che nel fermento di tutti i pregiudizi e i sentimenti di odio, inevitabili ma tristi parti di questa acuta psicosi bellica, non sia spenta nei popoli la coscienza della loro intima reciproca dipendenza nel bene e nel male, che anzi sia divenuta più viva e attiva. Non è forse vero che sempre più chiaramente pensatori profondi vedono, nella rinunzia all’egoismo e all’isolamento nazionale, la via di salvezza generale, pronti come sono a domandare ai loro popoli una parte gravosa di sacrifici, necessari per la pacificazione sociale in altri popoli? Possa questo Nostro Messaggio natalizio, diretto a tutti coloro che sono animati da buona volontà e cuore generoso, incoraggiare e aumentare le schiere della Crociata sociale presso tutte le Nazioni! E voglia Dio concedere alla loro pacifica bandiera la vittoria, di cui è degna la loro nobile intrapresa!
4° Reintegrazione dell’ordinamento giuridico
4) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla vita sociale, collabori ad una profonda reintegrazione dell’ordinamento giuridico.
Il sentimento giuridico di oggi è spesso alterato e sconvolto dalla proclamazione e dalla prassi di un positivismo e di un utilitarismo ligi e vincolati al servizio di determinati gruppi, ceti e movimenti, i cui programmi tracciano e determinano la via alla legislazione e alla pratica giudiziale.
Il risanamento di questa situazione diventa possibile a ottenersi, quando si ridesti la coscienza di un ordinamento giuridico, riposante nel sommo dominio di Dio e custodita da ogni arbitrio umano; coscienza di un ordinamento che stenda la sua mano protettrice e punitrice anche sugli inobliabili diritti dell’uomo e li protegga contro gli attacchi di ogni potere umano.
Dall’ordinamento giuridico voluto da Dio promana l’inalienabile diritto dell’uomo alla sicurezza giuridica, e con ciò stesso ad una sfera concreta di diritto, protetta contro ogni arbitrario attacco.
Il rapporto dell’uomo verso l’uomo, dell’individuo verso la società, verso l’autorità, verso i doveri civili, il rapporto della società e dell’autorità verso i singoli debbono essere posti sopra un chiaro fondamento giuridico e tutelati, al bisogno, dall’autorità giudiziaria. Ciò suppone:
a) un tribunale e un giudice, che prendano le direttive da un diritto chiaramente formulato e circoscritto;
b) chiare norme giuridiche, che non possano essere stravolte con abusivi richiami ad un supposto sentimento popolare e con mere ragioni di utilità;
c) riconoscimento del principio che anche lo Stato e i funzionari e le organizzazioni da esso dipendenti sono obbligati alla riparazione e al ritiro di misure lesive della libertà, della proprietà, dell’onore, dell’avanzamento e della salute dei singoli.
5° Concezione dello Stato secondo lo spirito cristiano
5) Chi vuole che la stella della pace spunti e si fermi sulla società umana, collabori al sorgere di una concezione e prassi statale, fondate su ragionevole disciplina, nobile umanità e responsabile spirito cristiano;
aiuti a ricondurre lo Stato e il suo potere al servizio della società, al pieno rispetto della persona umana e della sua operosità per il conseguimento dei suoi scopi eterni;
si sforzi e adoperi a sperdere gli errori, che tendono a deviare dal sentiero morale lo Stato e il suo potere e a scioglierli dal vincolo eminentemente etico, che li lega alla vita individuale e sociale, e a far loro rinnegare o ignorare praticamente l’essenziale dipendenza, che li unisce alla volontà del Creatore;
promuova il riconoscimento e la diffusione della verità, che insegna, anche nel campo terreno, come il senso profondo e l’ultima morale e universale legittimità del «regnare» è il «servire».
Considerazioni sulla guerra mondiale
e sul rinnovamento della società
Diletti figli! Voglia Dio che, mentre la Nostra voce arriva al vostro orecchio, il vostro cuore sia profondamente scosso e commosso dalla serietà profonda, dall’ardente sollecitudine, dalla scongiurante insistenza, con cui Noi vi inculchiamo questi pensieri, che vogliono essere un appello alla coscienza universale e un grido di raccolta per tutti quelli che sono pronti a ponderare e misurare la grandezza della loro missione e responsabilità dalla vastità della sciagura universale.
Gran parte della umanità, e, non rifuggiamo dall’affermarlo, anche non pochi di coloro che si chiamano cristiani, entrano in certa guisa nella responsabilità collettiva dello sviluppo erroneo, dei danni e della mancanza di altezza morale della società odierna.
Questa guerra mondiale, e tutto ciò che le si connette, si tratti dei precedenti remoti o prossimi, o dei suoi procedimenti ed effetti materiali, giuridici e morali, che altro rappresenta se non lo sfacelo, inaspettato forse agl’inconsiderati, ma intuito e deprecato da coloro i quali penetravano a fondo col loro sguardo in un ordine sociale, che dietro l’ingannevole volto o la maschera di formole convenzionali nascondeva la sua debolezza fatale e il suo sfrenato istinto di guadagno e di potere?
Ciò che in tempi di pace giaceva compresso, al rompere della guerra scoppiò in una trista serie di azioni, contrastanti con lo spirito umano e cristiano. Le convenzioni internazionali per rendere meno disumana la guerra, limitandola ai combattenti, per regolare le norme dell’occupazione e della prigionia dei vinti, rimasero lettera morta in vari luoghi; e chi mai vede la fine di questo progressivo peggioramento?
Vogliono forse i popoli assistere inerti a così disastroso progresso? o non debbono piuttosto, sulle rovine di un ordinamento sociale, che ha dato prova così tragica della sua inettitudine al bene del popolo, riunirsi i cuori di tutti i magnanimi e gli onesti nel voto solenne di non darsi riposo, finché in tutti i popoli e le nazioni della terra divenga legione la schiera di coloro, che, decisi a ricondurre la società all’incrollabile centro di gravitazione della legge divina, anelano al servizio della persona e della sua comunanza nobilitata in Dio?
Questo voto l’umanità lo deve agl’innumerevoli morti, che giacciono sepolti nei campi di guerra: il sacrificio della loro vita nel compimento del loro dovere è l’olocausto per un nuovo migliore ordine sociale.
Questo voto l’umanità lo deve all’infinita dolente schiera di madri, di vedove e di orfani, che si son veduti strappare la luce, il conforto e il sostegno della loro vita.
Questo voto l’umanità lo deve a quegl’innumerevoli esuli che l’uragano della guerra ha spiantati dalla loro patria e dispersi in terra straniera; i quali potrebbero far lamento col Profeta: «Hereditas nostra versa est ad alienos, domus nostrae ad extraneos» (Ier, Lam. 5,2).
Questo voto l’umanità lo deve alle centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento.
Questo voto l’umanità lo deve alle molte migliaia di non combattenti, donne, bambini, infermi e vecchi, a cui la guerra aerea, – i cui orrori Noi già fin dall’inizio più volte denunziammo, – senza discernimento o con insufficiente esame, ha tolto vita, beni, salute, case, luoghi di carità e di preghiera.
Questo voto l’umanità lo deve alla fiumana di lagrime e amarezze, al cumulo di dolori e tormenti, che procedono dalla rovina micidiale dell’immane conflitto e scongiurano il cielo, invocando la discesa dello Spirito, che liberi il mondo dal dilagare della violenza e del terrore.
Invocazione al Redentore del mondo
E dove potreste voi deporre con più tranquilla sicurezza e fiducia e con fede più efficace questo voto per il rinnovamento della società, se non ai piedi del «desideratus cunctis gentibus», che giace davanti a noi nel presepio in tutto l’incanto della sua dolce umanità di Pargolo, ma anche nell’attrattiva commovente della sua incipiente missione redentrice? In qual luogo potrebbe questa nobile e santa crociata per la purificazione ed il rinnovamento della società avere consacrazione più espressiva e trovare stimolo più efficace che a Betlemme, dove nell’adorabile mistero dell’incarnazione apparve il nuovo Adamo alle cui fonti di verità e di grazia conviene in ogni modo che l’umanità attinga l’acqua salutare, se non vuole perire nel deserto di questa vita? «De plenitudine eius nos omnes accepimus» (Io 1,16). La sua pienezza di verità e di grazia, come da venti secoli, si riversa anche oggi sull’orbe con forza non diminuita; più potente delle tenebre è la sua luce, il raggio del suo amore più valido dell’agghiacciante egoismo, che rattiene tanti uomini dal crescere ed eccellere nel loro essere migliore. Voi, volontari crociati di una nuova nobile società, alzate il nuovo labaro della rigenerazione morale e cristiana, dichiarate lotta alle tenebre della defezione da Dio, alla freddezza della discordia fraterna; lotta in nome d’una umanità gravemente inferma e da sanare in nome della coscienza cristianamente elevata.
La Nostra benedizione e il Nostro paterno augurio e incoraggiamento sia colla vostra generosa intrapresa, e perduri con tutti coloro che non rifuggono dai duri sacrifici, armi più che il ferro potenti a combattere il male, di cui soffre la società. Sulla vostra crociata per un ideale sociale, umano e cristiano, splenda consolatrice ed incitatrice la stella che brilla sulla grotta di Betlemme, astro augurale e perenne dell’era cristiana. Alla sua vista attinse, attinge e attingerà forza ogni cuore fedele: «Si consistant adversus me castra … in hoc ego sperabo» (Ps 26,3). Dove questa stella risplende, è Cristo: «Ipso ducente, non errabimus; per ipsum ad ipsum eamus, ut cum nato hodie puero in perpetuum gaudeamus».(4)
(1) PIO PP. XII, Radiomessaggio Con sempre nuova freschezza nella vigilia del Natale 1942, [A tutti i popoli del mondo], 24 dicembre 1942: AAS 35(1943), pp. 9-24.
Il santo Natale e l’umanità dolorante. – Rapporti internazionali e ordine interno delle nazioni. – Duplice elemento della pace nella vita sociale: I. Convivenza nell’ordine (Dio prima causa e ultimo fondamento della vita individuale e sociale; sviluppo e perfezionamento della persona umana; ordinamento giuridico della società e nuovi scopi); II. Convivenza nella tranquillità (armonia fra tranquillità e operosità; il mondo operaio). – Cinque punti fondamentali per l’ordine e la pacificazione della società umana: 1. Dignità e diritti della persona umana; 2. Difesa dell’unità sociale e particolarmente della famiglia; 3. Dignità e prerogativa del lavoro; 4. Reintegrazione dell’ordine giuridico; 5. Concezione dello stato secondo lo spirito cristiano. – Considerazioni sulla guerra mondiale e sul rinnovamento della società. – Invocazione al Redentore del mondo.
(2) Summa theol., II-II, q. 29, a. 1 ad 1; S. AUGUSTINUS, De civitate Dei, 1. 19, c. 13, n. 1.
(3) Summa theol., II-II, q. 29, a. 3.
(4) S. AUGUSTINUS, Sermo 189, c. 4: PL 38, 1007.
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